Le rane

Sono sceso quaggiù a cercare la poesia, perché il nostro paese possa salvarsi

Βάτραχοι, vv 1418, 405 a.c.

Un tempo gli dei si confondevano con gli uomini,
gioivano, lottavano, sbagliavano, piangevano come noi.
Oggi abbiamo idoli distanti, intoccabili, stanchi.
Non splende sempre, un dio.
Perché ostinarti nella fatica allora, Eracle? Di cosa sei stanco, Dioniso?
Volgiamo lo sguardo al re Eaco.
Il suo popolo fu annientato da una pestilenza.
Eaco allora pregò.
E cadde una pioggia che ripulì le acque e trasformò le formiche in esseri umani.
Ci salvarono le formiche.
Quali miti chiamiamo a raccolta per andare insieme incontro al tramonto?

Le Rane, anno 2022 

Prodotto da Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatri di Bari e Solares Fondazione delle Arti per la regia di Marco Cacciola, Le Rane vede in scena un coro di cittadini ogni sera diverso ad affiancare il nucleo di giovani artisti, nel tentativo di rifondare l’antico legame esistente tra società e teatro. Ogni fase del lavoro ha vissuto momenti collettivi in cui sono state coinvolte diverse realtà attive sul piano sociale, culturale e dell’associazionismo. Oltre ai workshop cittadini e per la selezione degli artisti, è stata avviata una collaborazione con studenti e docenti dell’Università Statale di Milano e l’Università IULM a cui è stata affidata una nuova traduzione del testo; gli allievi dell’Accademia di Brera hanno affiancato lo scenografo nella costruzione delle scene ottenendo crediti formativi come parte dell’attività didattica; gli studenti dell’IIS Galilei-Luxemburg hanno partecipato a una sessione di laboratori intorno ai temi dello spettacolo.
Una delle opere più celebri di Aristofane rivive dunque in un allestimento inedito, eterogeneo e condiviso che accompagna il pubblico in un divertente e visionario viaggio negli inferi. In scena assistiamo alle rocambolesche peripezie del dio Dioniso e del suo servo Xantia, diretti verso l’Ade per riportare in vita un Poeta che salvi la città dal degrado culturale.

Una commedia che ha per oggetto lo statuto della tragedia ideale può essere definita già dal principio un’operazione metateatrale. E permette di lavorare intorno all’identità speculare che lega il comico e il tragico, alla riscoperta di quel ruolo sociale che la poesia ha sempre avuto e sempre avrà. Il teatro, infatti, per la sua intrinseca sostanza è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività. La sfida è ricucire il dialogo interrotto.
In questo modo i temi principali (l’importanza della cultura e del suo valore sociale-politico, il pacifismo ante litteram, la responsabilità individuale e collettiva, l’interrogarsi sul futuro) possono essere trattati alternando l’identificazione più emotiva, capace di abolire distanze e conflitti, con la farsa più divertente, capace di deviare da percorsi già battuti.
Il viaggio del dio e del servo è prima disseminato di incontri singoli che tracciano il percorso, poi si estende a tutto il coro e, infine, all’altra metà del cerchio, il pubblico. Ed è in questo momento, quando varcano le soglie del mondo di qua, che avviene la cesura, che è anche un atto di responsabilità. Il coro dei cittadini invade la scena spezzando il procedere della trama e provando a farsi crepa, a sospendere quell’idea di storia come linea retta, progressione continua che non permette di immaginare altro che un futuro come ripetizione corrotta di un eterno presente.

Note di regia

La struttura stessa dell’opera originale mi ha suggerito la modalità di lavoro: una drammaturgia on the road divisa in due parti molto diverse tra loro, così come potrebbero apparire diversi i due protagonisti. Viceversa la loro continua relazione di scambio, mascheramento e svelamento, oltre che sintomatica del trasformismo politico denunciato da Aristofane, ci mostra come in fondo entrambi non siano che due aspetti della nostra umanità, in bilico tra afflato divino e greve animalità. Due facce di quello “specchio ustorio” che è la commedia, un elastico teso tra alto e basso, tra poetico e popolare. Un ponte al di sopra di un abisso.
Nelle tragedie e nelle commedie della Grecia classica in scena erano impegnati pochi attori e un coro formato da cittadini ateniesi. Ho voluto tradurre quella pratica, per coinvolgere realmente la comunità, immaginando uno spettacolo che impegni in scena attori professionisti e cittadini.
Come scrive Marco Martinelli in Farsi luogo: “Nell’epoca dei grandi media virtuali immateriali, il teatro è il luogo della materia sacra.” Per questo motivo, contro l’individualismo imperante, ci uniamo in cerchio e ci facciamo comunità. Rimettere sul palco un coro che rappresenti la città, oggi, oltre che poetica, è questione politica. Ri-fondare il coro e ri-fondare la polis. Perché in questo momento storico, ringraziando ancora Martinelli, “il luogo, e la comunità, e il coro, noi ce li dobbiamo letteralmente inventare”.

Il teatro, come la politica, è una poesia che non si scrive da soli.

Marco Cacciola

CREDITS

da Aristofane
progetto e regia Marco Cacciola
con (in o.a.) Giorgia Favoti, Matteo Ippolito, Lucia Limonta, Claudia Marsicano, Francesco Rina
e un coro di cittadini ogni giorno diverso
traduzione Maddalena Giovannelli, Martina Treu
dramaturg Lorenzo Ponte
scene Federico Biancalani
costumi Elisa Zammarchi
direzione tecnica Rossano Siragusano
musiche e suono Marco Mantovani
assistente alla regia Gabriele Anzaldi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale / Teatri di Bari / Solares Fondazione delle arti
un ringraziamento speciale ad Antonia Chiodi e a Marco Martini

DEBUTTO 14 GENNAIO 2022 Teatro Fontana, MILANO

DURATA 1 ora e 40 senza intervallo

MEDIA

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