La Colonna infame è un romanzo inchiesta del famoso processo agli untori che si verificò in occasione della terribile peste del 1630 a Milano in un clima allucinato dalla diffusione del morbo, tra sospetti e dicerie rivolti alla ricerca di un capro espiatorio.
Sulle prime le autorità, a quanto pare, sottovalutarono il rischio del contagio e la pericolosità della malattia, tant’è che in piena crisi epidemica non solo si celebrò pubblicamente la nascita del primogenito di FilippoIV, ma si concesse addirittura una processione religiosa nonostante l’iniziale rifiuto del Cardinale Borromeo. Il morbo si diffuse in breve in modo esponenziale, sterminando un terzo della popolazione di Milano; le autorità cittadine, trovandosi in seria difficoltà  e non riuscendo a gestire la situazione né gli umori della masse, alimentarono la “ diceria dell’untore”.
La medicina del Seicento ignorava la causa del contagio, soltanto durante la Terza Pandemia nel giugno del 1894 fu isolato ad Hong Kong il batterio responsabile Yersina pestis, arrivato all’uomo per spillover o salto di specie dall’ospite serbatoio (il ratto) ma soprattutto da ospiti intermedi come la pulce parassita dei ratti stessi o il pidocchio; ed ecco spuntare la diceria che la peste sia propagata a causa di un non ben definito «onto», un unguento di cui alcuni individui, per loro loschi e incomprensibili scopi, vanno cospargendo case, strade, oggetti, vestiario etc.Manzoni ricostruì la vicenda giudiziaria che condannò a una morte atroce cinque cittadini milanesi—cinque innocenti—, con l’accusa di essere i responsabili dell’unzione pestifera.
Manzoni presenta, dunque, una pagina di storia del diritto penale, e si schiera sia contro i governanti sia contro i giudici che, pressati dalla volontà e dal furore popolare, condussero le indagini con evidente malafede e giunsero alle loro conclusioni basandosi solo su parole, e non su fatti; e soprattutto su accuse quasi sempre estorte tramite terribili pratiche di tortura.Come già accennato, il processo, che si svolse nell’estate del 1630, decretò, tra l’altro, sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza (un commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (un barbiere), sia l’abbattimento dell’abitazione di quest’ultimo. Come monito, infine, venne eretta, sulle macerie dell’edificio raso al suolo, la “Colonna infame” che, appunto, dà il titolo all’opera.
Stefano Braschi e Nicolò Valandro, che nel 2017 hanno partecipato ad un allestimento de “I promessi sposi” prodotto da Elsinor per la regia Michele Sinisi, si riaccostano a Manzoni e a quest’opera tra le più ignorate della nostra letteratura nell’emergenza pandemica del tempo presente per riflettere insieme al pubblico sulla cultura di un’epoca e sulle responsabilità morali e religiose dei singoli.

CREDITS

di Alessandro Manzoni
lettura scenica di Stefano Braschi
riduzione drammaturgica Stefano Braschi, Nicolò Valandro
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale

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