Cenacolo 12+1

Un muro è un’arma potente. È uno degli oggetti peggiori con cui puoi colpire qualcuno
Banksy

In occasione delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Leonardo Da Vinci, Elsinor Centro di Produzione Teatrale ha realizzato per la Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato un racconto scenico attorno ad una delle più sfuggenti e complesse personalità della storia rinascimentale. Con un cast composto da 5 attori di Elsinor – Stefano Braschi, Giuditta Mingucci, Stefania Medri, Donato Paternoster e Gianni D’addario – e 8 attori del corso di perfezionamento del Teatro di Roma, il regista Michele Sinisi crea uno spettacolo composto da dodici quadri +1: dodici racconti legati ciascuno ad un aspetto storico, artistico o più semplicemente aneddotico riguardante il celebre Cenacolo leonardiano. Il +1 in eccesso, ovviamente, è collegato alla figura del Cristo, che esce dal calcolo: un po’ come Leonardo esce dalla dimensione strettamente “artistica” per entrare in quella della leggenda. Il regista ripercorre così 12 stazioni di un percorso attraverso le epoche lungo 500 anni: una via crucis compiuta attorno al dipinto più importante della storia dell’arte, vittima delle più grandi e documentate violenze che siano mai state perpetrate su un’opera.Dalla prima cena dei frati in refettorio di fronte all’affresco appena ultimato, all’arrivo delle truppe napoleoniche che usano le facce degli apostoli come bersagli per ammazzare il tempo, per poi passare ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e ai successivi restauri, lo spettacolo ricrea un viaggio nella storia, facendo rivivere personaggi sia reali che immaginari. Sullo sfondo, protagonista assoluto, c’è il Cenacolo, dipinto su una parete non come un affresco ma come una pittura su tavola, impreparato quindi a far fronte alla rovina del tempo. Che fosse sua intenzione o no, Leonardo ha lavorato all’ultima cena a quattro mani con umidità, bombe e, non ultima, ignoranza umana. Per questo sulla scena compariranno anche quelle forze coautrici dell’opera come la vediamo oggi: pioggia, vento, frane, esplosioni, sfregi. Ma anche sacchi di sabbia e materassi, preziose forze conservative che hanno salvato l’opera, proteggendola dal deterioramento. D’altronde, il mondo di Leonardo – e la sua pittura – è inscindibile dalle energie che muovono la terra. Studioso della meccanica del corpo e delle macchine, della circolazione dei fluidi e dei fenomeni atmosferici, l’artista ha scelto di legare tutta la sua opera alla natura dandole un fremito vitale e, forse, anche una scadenza temporale. Come tutto ciò che appartiene alla sfera dell’umano. L’ultima stazione di questo viaggio è dedicata infatti alla quotidiana umanità di una figura diventata leggendaria. Ed è proprio questo suo essere umano, troppo umano a rendere la produzione artistica di Leonardo immensa.

NOTE DI REGIA
Perché́ lavorare su Leonardo oggi? Oggi più̀ che mai ci troviamo a vivere il contrasto fra la carne e la sua rappresentazione, reale e virtuale, vita e forma. Leonardo, a cominciare dall’opera del Cenacolo – una commissione come la quasi totalità dei suoi lavori – abbatte l’ansia da prestazione, di corrispondenza ad una forma. La composizione dell’affresco è un insieme di segni che destrutturano l’idea iconica dell’epoca della stessa Ultima Cena di Cristo. Le finestre ad esempio trasmettono luce su un piano umano e naturale: i suoi raggi hanno un aspetto concreto, bagnano i corpi e il nostro sguardo, facendosi però anche spirito e trasmettendo una sorta di maieutica dell’essenza umana. La luce – che fino a quel momento avremmo trovato nelle aureole poste sul capo dei santi – qui arriva dalle finestre, le quali rivelano non un paesaggio palestinese ma, con molta probabilità̀, quello che Leonardo scorgeva contemporaneamente dalla finestra della sua stanza lombarda in cui soggiornava per questo lavoro. Potremmo dilungarci all’infinito sull’elenco di dettagli che segnano la frantumazione e la destrutturazione in quel presente specifico all’opera, di qualsiasi volontà di ingabbiare la vita a partire già dalla sua “rappresentazione”. L’arte è un’occasione per condurre lo sguardo di tutti noi oltre il confine della consapevolezza, della paura, per aderire e portare addosso il brivido del coraggio di stare con gli altri, percorrendo le strade che intravediamo. Cristo in quella tavolata condivide un rito quotidiano ed essenziale con tutti noi attraverso i suoi discepoli, tra i quali si trova anche il suo traditore, come a voler favorire il progetto del suo sacrificio, del suo martirio. L’arte per mezzo dell’artista, essere umano anch’egli (sempre meglio ricordarselo), rispecchia questa disponibilità allo slancio della conoscenza, alla curiosità di sapere chi siamo. E quella tavolata, nella forma e nel contenuto, ci racconta che la vita, anche lì dove decidessimo di “credere” di poterla ingabbiare – in una forma prestabilita e concordata a tavolino – sarebbe sempre pronta a sorprenderci sul piano della nostra ignoranza. Saremo sempre vittime di un agguato emotivo, la cui portata rivoluzionaria è di una dirompenza tale che frantuma la stratificazione di veli posta davanti ai nostri occhi. La funzione artistica de Cenacolo sta quindi nella spiritualità della natura evocata, non definibile logicamente. Le forze contrapposte in natura sono la benzina della vita. Ogni disturbo, ogni spostamento di certezze, ogni segno, odore, peso generato nella nostra identità culturale percorre verticalmente il contatto con la nostra carne, è rivelatore del piacere – mai comodo – della conoscenza. Intorno a quella tavola si svolge un’ultima cena che aprirà ad un percorso umano di due millenni e più e Leonardo trasmuta quella rivoluzione umana su un piano segnico e compositivo che dà dinamicità infinita alla sua lettura. Non c’è un significato in quel quadro, c’è un’esperienza umana totale. La porta aperta dai frati, per comodità, nel refettorio ai piedi dell’affresco – al centro e all’altezza della raffigurazione del Cristo – amplifica ulteriormente l’essenza umana della nostra vita e di quanto la sua imprevedibilità si faccia beffe della nostra illusione di ingabbiarla in una forma limitata ed eterna.
Michele Sinisi

CREDITS

drammaturgia Francesco M. Asselta, Michele Sinisi
regia Michele Sinisi
con Stefano Braschi, Giuditta Mingucci, Stefania Medri, Donato Paternoster, Nicolò Valandro
e con gli allievi del corso di perfezionamento del Teatro di Roma, Alfredo Calicchio, Gabriele Cicirello, Aurora Cimino, Giulia Eugeni, Francesca Fedeli, Marisa Grimaldo, Eugenio Mastrandrea, Camilla Tagliaferri
scene Federico Biancalani
costumi G.D.F. studio
disegno luci e direzione tecnica Rossano Siragusano
voce registrata Tamara Fagnocchi
aiuto regia Nicolò Valandro
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
per Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato

in collaborazione con Teatro di Roma

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