Una performance per un attore solo, una sorta di esame post-mortem con racconto a ritroso, in cui un vecchio Edipo si toglie ogni maschera, ripensa alle sue disgrazie e si interroga di nuovo sui tanti enigmi del suo mito. Un anziano con gli occhi tumefatti è in scena inizialmente di spalle mentre il pubblico entra. L’audio nello spazio annuncia istruzioni necessarie per il viaggio. Gradualmente questo individuo libererà il suo corpo di tutto quello che indossa. I vari strati scopriranno a ritroso le fasi di questo processo tragico che lo sguardo ha rifiutato. Un uomo in divisa (lo scenografo Federico Biancalani) gli sarà di ausilio per riuscire meglio e con più comodità a liberarsi dei segni del tempo, di tutto ciò che ha scoperto, del peso della conoscenza. Un audio accompagnerà questa azione per indirizzare la lettura visiva del pubblico in sala. I segni scritti sul corpo acquisteranno un senso compiuto grazie all’aiuto delle istruzioni dettate dall’audio in sala, una specie di rebus. Tutto ciò che il corpo dell’attore avrà addosso sarà frutto dell’artificio della scena. Il piede gonfio gradualmente svelerà un’anatomia priva del tempo: un essere iniziale su cui come ultima azione ci sarà la foratura della caviglia. Questa tragedia ha inizio proprio sul corpo di un bambino nel momento in cui Laio, per evitare il compimento dell’oracolo, strappa il neonato dalle braccia della nutrice e gli fa forare le caviglie per farvi passare una cinghia e poi farlo “esporre”, abbandonandolo cioè alle bestie in una foresta, per mano di un suo servo.  Il tassello iniziale del mito chiude questa indagine a ritroso per mezzo di un arnese da lavoro che consente l’abbandono di un corpo completamente nudo. In quel momento il suo aiutante, un Tiresia in divisa, appenderà la caviglia ad un gancio per poi issare il corpo tragico di un’incosciente, di un capro espiatorio da mostrare al coro delle bestie sedute in una foresta ch’è la platea del teatro.

NOTE DI REGIA
Quando Edipo, re di Tebe, chiede all’oracolo come sconfiggere la pestilenza che devasta la sua città, questi rivela che la causa della sciagura è l’uccisione impunita del precedente re di Tebe, Laio, di cui Edipo ha preso il posto e sposato la vedova. Una volta saputo che questi erano rispettivamente suo padre e sua madre, si acceca. È sul corpo, dunque, che agisce la legge di Edipo. La sua punizione è fisica perché egli è colpevole della più estrema delle trasgressioni. Il corpo diventa quindi la base su cui disegnare gli effetti di quella azione emotivamente incontenibile. Cavarsi gli occhi è un gesto potente, che annienta e rifiuta qualsiasi piacere gli abbia dato il mondo fino a quel momento. Questo è il fulcro della storia e in questo passaggio risiede l’azione che anima l’intera arcata di questo racconto, antico quanto l’uomo e la sua convivenza con gli altri. Legge, desiderio e senso di colpa divengono quindi elementi inscindibili della tragedia di Edipo: l’esperienza profonda di aver trasgredito la legge perché travolto dall’insanabile desiderio. Il pentimento del figlio che compie il delitto del padre e l’incesto con la madre. La tragica lacerazione che affligge Edipo è lo specchio della divisione – e del conflitto interno – tra Legge e Desiderio, che in lui alberga fino alla violenza furiosa che rende impossibile ogni parola e che si compenserà con il fine del proprio accecamento: non voler vedere il presente, frutto della propria azione. Una tragedia che si consuma sulla propria pelle come parte evidente e superficiale del corpo su cui si iscrivono i segni delle azioni che compongono la vita che genera tale processo. Il corpo di Edipo accoglie sul proprio piede l’inizio della propria esistenza con la rappresentazione del proprio nome e chiude questa esperienza con l’accecamento come buio assoluto che annulla ogni possibilità di redenzione per le azioni commesse. Il dramma del tragico conflitto tra destino annunciato dal nome, tra legge e desiderio. Il corpo diventa la scena con cui si racconta il dramma. Per questo il fulcro dello spettacolo è il corpo. Le parole, gli intrecci, il coro e gli altri saranno arti, odori, posizioni e sguardi radicati e mappati sul fisico dell’attore.
Michele Sinisi

CREDITS

di e con Michele Sinisi
scenografo in scena Federico Biancalani
collaborazione alla scrittura scenica Francesco Maria Asselta
voce registrata Simone Faloppa
aiuto regia Nicolò Valandro
progetto Farsa
produzione Elsinor / Festival Colline Torinesi – TPE
sostegno alla produzione MAT, laboratorio Urbano, Terlizzi (Ba)

MEDIA

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