Il primo titolo che l’autore aveva scelto per Memorie del sottosuolo era Confessione.
Ed effettivamente si tratta di una vera e propria confessione. E nella confessione dell’uomo del sottosuolo colpisce innanzitutto l’estrema e acuta dialogizzazione interiore: in essa non vi è letteralmente una sola parola monologicamente ferma, non disgregata. Sin dalla prima fase il discorso del personaggio comincia a contorcersi, a spezzarsi sotto l’influenza dell’anticipata parola altrui, con la quale l’autore fin dal primo momento entra in una tesissima polemica interna.
Il primo titolo che l’autore aveva scelto per Memorie del sottosuolo era Confessione.
Ed effettivamente si tratta di una vera e propria confessione. E nella confessione dell’uomo del sottosuolo colpisce innanzitutto l’estrema e acuta dialogizzazione interiore: in essa non vi è letteralmente una sola parola monologicamente ferma, non disgregata. Sin dalla prima fase il discorso del personaggio comincia a contorcersi, a spezzarsi sotto l’influenza dell’anticipata parola altrui, con la quale l’autore fin dal primo momento entra in una tesissima polemica interna. L’uomo del sottosuolo parla incessantemente con se stesso. Il suo senso di alienazione è tale che egli scorge l’ altro anche nel suo specchio. È il contrario di Narciso e ingiuria la creazione proprio perchè non può credere che una creatura abbietta come lui possa essere stata formata a immagine di Dio. Invidia le sostanze e il potere dei ricchi; e la sua ironia non gli basta a ripararlo dal freddo dell’inverno. L’uomo del sottosuolo sperimenta contemporaneamente l’umiliazione e l’indispensabile coro, che, con il suo ironico commento, mette a nudo l’ipocrisia delle convenzioni. L’uomo degli abissi più profondi possiede l’intelligenza, ma non il potere, il desiderio, ma non i mezzi per realizzarlo. La rivoluzione industriale gli ha insegnato a leggere e gli ha fornito un minimo di agi, ma il concomitante trionfo del capitale e della burocrazia lo ha lasciato senza cappotto. E lui se ne sta aggrappato al suo tavolo da scrivano, sgobba con un servilismo un po’ astioso, sogna mondi più vasti e la sera si trascina fino a casa. Vive in un limbo amaro tra il proletariato e la borghesia vera e propria. L’uomo del sottosuolo è il buffone, che dice la verità, il confidente che dissipa le illusioni, è nello stesso tempo arrogante e ossequioso, energico e indolente, cinico e candido. Ascolta se stesso come un violinista ascolta il suo strumento, “si accuccia” nella sua tana e aspetta “nel suo buco”. Un senso di animalità ammorba la sua coscienza. La tragedia dell’uomo del sottosuolo è il venir meno alla sua umanità. Lui stesso definisce la sua specie “una creatura che cammina su due gambe ed è sprovvista di gratitudine”.
Memorie del sottosuolo è un’opera fondamentale per Dostoevskij: d’ora in poi tutti i personaggi dei suoi principali romanzi avranno un sottosuolo e vi penetreranno per poi risorgere rigenerati o per affondarvi senza speranza, senza soluzione.

NOTE DI REGIA
Ho una predilezione per gli autori russi, li ho frequentati sul palcoscenico anche in passato, Cechov, Andreev, Gorkij e lo stesso Dostoevskij con La mite. Di Cechov ho fatto alcuni Atti unici, Zio Vanja e un testo tratto da Il monaco nero, intitolato Il cerchio incantato. Memorie del sottosuolo è una sorta di monologo interiore, in cui il protagonista, che non viene mai chiamato per nome e che potremmo nominare S., come sottosuolo, cerca di aprirsi dall’interno attraverso la parola, finché quasi pirandellianamente, attraverso essa, arriva a svelare i sottofondi della sua coscienza. “Noi del sottosuolo sappiamo stare in silenzio per quarant’anni ma quando sbottiamo .. allora parliamo, parliamo, parliamo…”. Memorie del sottosuolo riguarda il presente del personaggio S. , il suo immaginare una vita, che non ha, chiuso nella sua tana, una tana carica di risentimento sociale e di disabitudine alla vita. Mentre nella seconda parte (che nel romanzo si intitola A proposito della neve fradicia) vengono rievocati tre episodi del suo passato da ventiquattrenne. Ho preferito presentarne due: quello dell’ufficiale, che lo urta nella sala da biliardo portando S. a vivere per anni alla vana ricerca di una vendetta, e l’incontro con la giovane prostituta Liza, che avviene in una casa di piacere. Quello che mi interessa è il rapporto di due solitudini, della loro incapacità di comunicare che metaforicamente si allarga ad una divisione tra mondo maschile e mondo femminile, presente anche in La Mite, sempre dello stesso Dostoevskij . Nell’incontro tra S. e Liza bisognava ricreare una realtà fra i due, anche diversa da quella del romanzo, basata sui sottintesi ed i silenzi, più che sulla violenza. Anche qui si confrontano due incapacità di vivere.
Ho immaginato lo spettacolo come una lunga recita che S. rivolge ad un suo pubblico immaginario, ideale, che arriva ad interloquire con lui. Questa recita prevede nella prima parte un S. anche clownesco, ironico, grottesco a volte, che ci presenta il suo privato in pubblico, finalmente liberato da ogni freno inibitorio, svelandoci forse una parte del suo inconscio e arrivando ad aggredire la sintassi dell’esposizione verbale. Mentre la seconda parte, ovvero l’incontro con Liza, si muove in un’atmosfera onirica, in una trasfigurazione della realtà, da cui Liza uscirà umiliata dalla pulsione sadomasochista di S. Attraverso la mescolanza di stili recitativi, mi è parso di trovare un punto di fedeltà con la struttura del romanzo. Gianni Carluccio firma l’installazione di questa bidonville con a terra cartoni da supermarket e quattro zone segnate da quattro tavoli scenografati e impolverati, che quadruplicano gli ambienti: il bordello, un esterno nel fondo e la squallida tana piccolo borghese nella Pietroburgo della seconda metà dell’ 800. Anche i costumi di S. saranno impolverati, quasi riaffiorasse da uno scantinato. Memorie del sottosuolo è un testo profetico dei giorni nostri e della difficoltà di comunicazione e di rapportarsi in un modo equilibrato fra gli esseri umani.
Roberto Trifirò

CREDITS

di Fedor Dostojevskij
regia e drammaturgia Roberto Trifirò
con Roberto Trifirò e Caterina Bajetta
installazione scenica Gianni Carluccio

MEDIA

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