La grande abbuffata

C’è un punto in cui il corpo e la mente vivono insieme la consapevolezza di ogni istante che passa. Forse lì si nasconde il naturale senso del tutto, che da quando abbiamo cominciato a ragionare ci fa dire Dio, fortuna, destino, speranza, paura e felicità e altre parole simili.

Michele Sinisi

Una sorprendente riscrittura teatrale di uno dei film più controversi e amati di Marco Ferreri, diventato ormai un vero e proprio cult del Cinema Italiano.
Fischiata al Festival di Cannes dalla critica per la sgradevolezza e la volgarità pornografica delle immagini, La grande abbuffata ebbe invece un incredibile successo di pubblico, inusuale se si considera la forza eversiva e antiborghese dei suoi contenuti.
La storia dei quattro amici che si rinchiudono in una villa decisi a suicidarsi mangiando e bevendo fino alla morte diventa potente allegoria di una società incentrata sul consumo, abituata a divorare tutto.
Insieme al drammaturgo Francesco M. Asselta e allo scenografo Federico Biancalani, il regista opera una vera e propria riscrittura del testo indagando sul rapporto fra un sistema tuttora votato all’abbuffata indiscriminata (di informazioni, di prodotti, di opinioni, di fatti senza soluzione di continuità) e il corpo come organismo in grado di riprendere possesso del presente tornando alla sua esistenza fisiologica.

NOTE DI MICHELE SINISI
La Grande abbuffata è un racconto umano e artistico nel senso più concreto. Gli interpreti dello spettacolo sono, come nel film, presenti coi loro stessi nomi, per chiarire ulteriormente il risvolto umano dell’opera sul pubblico, così come volle Ferreri. L’obiettivo dell’autore era farne lo specchio del tempo, in cui la società occidentale evidentemente mostrava i segni dello sgretolamento, in cui la struttura storica e le radici del suo stesso pensiero conclamavano il principio della fase dissolutoria. Tutto questo è passato non però attraverso una narrazione pedante, moralizzante, né tantomeno per il tramite di una provocazione esibita in modo pretestuoso e gratuito. Il calore dell’amicizia permette ai quattro personaggi di condividere l’aspetto primordiale della vita ch’è semplicemente il sentirla al cospetto della morte, il momento della reale libertà di ognuno. Quella sicurezza, quella bellezza dello stare assieme senza giudizi, permette loro di riappropriarsi del presente in totale contatto con gli aspetti fisiologici della nostra esistenza: mangiare e fare sesso. In questo patto tra i quattro si assiste a ciò che il mangiare e il sesso sono già diventati per la società dell’epoca (si parla del 1973): hanno chiaramente assunto una funzione diversa dal naturale ruolo nutritivo e riproduttivo, son divenuti culturalmente segni opulenti dell’attestazione del potere, del desiderio di conquistare la vita e di comandarla, di governarla in assoluto governandone anche la fine. Questa relazione è metafora di un’abbuffata progredita oggi, ad esempio, nella consuetudine con cui un reportage su catastrofi naturali, su fatti di cronaca sconvolgenti, sono intervallati da pubblicità di prodotti di consumo e subito dopo da richieste di aiuto per popolazioni del terzo mondo da parte di onlus che fatturano a 7 zeri grazie all’offerta catartica per il nostro senso di colpa. Questo, oggi come allora, avviene ad una velocità e ad uno stordimento tale per cui l’aspetto fisiologico cede il passo ad un ingurgitare ansioso e inquieto. Si è schiacciati dalle nostre possibilità, la spettacolarizzazione dell’esistenza riflette all’infinito le opportunità di scelta rendendoci privi di fondamento naturale. La voglia e il desiderio indotto dal sistema culturale annullano ogni contatto con l’esistenza fisiologica, così come tra azione e responsabilità, e si vive in una bolla per cui il dolore e la necessità dell’aria, quanto l’amore e il sesso, diventano occasioni rivoluzionarie difficili da gestire tanto quanto il mistero del primo vagito di un neonato. Arriviamo alla teorizzazione dell’attimo e del principio di ogni agire, abbracciando un’ignoranza vitale e biologica tale per cui l’istinto selvaggio sbocca in un accumulo mostruoso e autodistruttivo di ogni frammento di accadimento panico.
La scena è lo spazio per l’esperienza che i quattro amici hanno deciso di vivere. Il piacere assoluto del mangiare e del sesso è tale per cui la vita stessa di ciascuno non può sopportare tanta conoscenza. È il corpo a riprendere possesso del presente, lì dove la testa è arrivata ad invadere ogni spazio vitale. Il sapere dell’essere umano mi interessa per il modo con cui coinvolge il corpo nel momento della sua stessa trasmissione, nell’atto della condivisione di ciò che si è imparato e s’è capito. C’è un punto in cui il corpo e la mente vivono insieme la consapevolezza di ogni istante che passa. Forse lì si nasconde il naturale senso del tutto, che da quando abbiamo cominciato a ragionare ci fa dire Dio, fortuna, destino, speranza, paura e felicità e altre parole simili.
Michele Sinisi

CREDITS

dall’omonimo film di Marco Ferreri
drammaturgia Francesco Maria Asselta, Michele Sinisi
scenografie Federico Biancalani
con Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni d’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Stefania Medri, Donato Paternoster, Adele Tirante
regia Michele Sinisi
disegno luci Ivan Dimitri Pilogallo
sarta di scena Elisa Zammarchi
aiuto regia Nicoló Valandro
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Metastasio di Prato

DEBUTTO giugno 2021, Teatro Fontana, MILANO

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